Ci sono termini con cui prendiamo familiarità anche se non fanno parte della nostra lingua madre, ed “Underdog” è uno di questi. Indica la squadra, la persona sfavorita in una competizione sportiva. Un termine portato rapidamente alla ribalta dal Leicester e dalla sua Premier League vinta contro tutti i pronostici, un termine importante della cultura d’Oltremanica. Se il riferimento sportivo non dovesse bastarvi, vi è anche quello musicale con i Kasabian – band di Leicester, guarda tu il destino -, la cui “Underdog” per l’appunto trasmette la vera essenza di questo termine che, tra note e Premier League, sembra essere fatto apposta per Danilo Petrucci.
Ci sono successi e successi, sportivamente parlando. Ci sono vittorie che valgono più di altre. Valgono di più perché vengono da lontano, tanto lontano da zone che nemmeno possiamo immaginare. Se sportivamente parlando Danilo Petrucci è un Underdog, cinematograficamente è la perfetta metafora de “La classe operaia va in paradiso”. Il suo trascorso, la sua città, l’epilogo del 2 giugno: non esiste metafora migliore. Sì, perché da quel 1990 – anno di nascita di Danilo – la strada fatta è tanta. Parte tutto da Terni, città operaia di quelle vere che nasce, cresce e si sviluppa con le acciaierie – una città nella città – in una conca tra le verdi colline umbre. Terni però non è solo acciaio: Terni il motociclismo lo ha nel sangue, nel DNA. Per farvi capire l’importanza delle due ruote in questa cittadina, vi basti pensare che lo stadio ha un nome ben preciso: Libero Liberati, campione del mondo della Classe 500 soprannominato “Il cavaliere d’acciaio”.
Un cavaliere che peraltro arrivò a correre grazie ad una colletta cittadina dato che, nonostante il suo incredibile talento, lo stipendio da operaio di acciaierie proprio non voleva saperne di bastare. “Il Ternano Volante”, nel 1957, vinse il Campionato del Mondo Classe 500 ed ottenne un terzo posto finale in Classe 350, confidando – a mo’ di moderno poema cavalleresco – in una sola cavalcatura, quella Gilera che lo costrinse per un po’ a stare lontano dalle corse. Proprio nel 1957, infatti, il patto di astensione firmato da Gilera, Moto Guzzi ed FB Mondial lasciò Liberati senza scuderia ufficiale. E’ ovvio, le offerte piovvero, ma “Il Ternano Volante” proprio non volle saperne di correre da privato senza i colori della Gilera sul petto.
Finalmente, però, nel 1962 la sua amata Gilera torna nel mondo delle competizioni. Il Cavaliere d’acciaio è pronto, si allena più volte al giorno tra le strade sulle verdeggianti colline umbre. Di queste strade ce n’è una in particolare che culla ancora oggi i motociclisti tra le sue curve, costeggiando il fiume Nera in mezzo alla natura con un andamento sinuoso che è perfetto per tanti centauri. Una strada bellissima, ma anche piena di insidie. Le stesse insidie che il 5 marzo, al termine di una allenamento all’altezza di Cervara, tradirono anche Liberati. Finì la sua corsa contro una parete rocciosa, vani furono i soccorsi. Un lutto incredibile, perché Libero Liberati era stato molto più che un semplice pilota: era “un ardito cavaliere del nostro tempo.”
A Terni c’è poi un piatto tipico: le Ciriole. Un modo di dire molto conosciuto – anche se a livello culinario sbagliato – afferma che “Sei fortunato come le ciriole perchè hai due culi”. E quindi, se la prima fortuna è quella di respirare le gesta eroiche di Libero Liberati in ogni dove, la seconda si chiama Paolo Pileri. Perchè Danilo l’ambiente motociclistico non lo respira solo tra le mura cittadine, ma anche in casa. Il papà di Danilo, negli anni ’90, è infatti autotrasportatore proprio per il team di Pileri, che in quegli anni ’90 annovera tra i suoi piloti anche Loris Capirossi. Già, Pileri, colui che da giovane corse sotto falso nome perché il padre non voleva, complice la tragedia di Liberati. Già, Pileri, il secondo ternano iridato dopo Liberati. Ci sono amori che nascono così, in modo naturale ed imprevisto, cullati da gesta eroiche.
Esiste un però, e quel però sono i soldi. Per correre ce ne vogliono tanti, troppi, e così Danilo inizia da categorie meno dispendiose. Nel 1998 parte con il Minitrial, divenendo Campione Italiano nel ’99. Passa poi al Cross nel 2002, e nel 2006 arriva su asfalto, in sella a quella Honda con cui, nel trofeo CBR 600 Cup, vinse il titolo di miglior esordiente: in quegli anni il nostro panorama motociclistico era zeppo di trofei del genere, dove correr costava poco. Nel 2007 passa alla Yamaha, partecipando all’R6 Cup nazionale. La 600 di Iwata presentata l’anno prima aveva rivoluzionato il segmento, e Danilo riesce a guidarla come nessuno in un trofeo che vince e grazie al quale cattura l’attenzione dei vertici di Yamaha Italia. Si guadagna una R6 Stock ufficiale, con cui gareggia nel 2008 e 2009 alla Stock 600 europea, ospitata dal World Superbike. Il 2009 è un’ottima annata per il ternano con tre vittorie, quattro pole, ed il 2° posto assoluto nella Stock1000 del CIV, in sella alla R1. Già, le millone.
In quella stagione d’esordio sulla cilindrata piena Danilo si mette in mostra ancor più di quanto non avesse fatto sulla 600, con uno stile di guida tutto gas e gomiti fuori. Viene notato da Pedercini, che nel 2010 mette Danilo in sella ad una Ninja ZX-10R su due fronti: CIV Stock 1000 e Superstock 1000 FIM Cup. Alla fine Danilo è Campione Italiano Under25, mentre a livello internazionale chiude 9°. Una gavetta vecchio stile, degna di un pilota d’altri tempi qual è Danilo. Forse ultimo specialista di classe – in questo caso delle grosse cilindrate – proprio come Libero Liberati. Ma non è finita, anzi: deve ancora cominciare. E’ in quel momento che arriva infatti la svolta che mette al posto giusto ogni frammento del puzzle: nel 2011 Petrux resta nella Stock1000 FIM Cup e, col supporto della FMI, si guadagna una Ducati 1098R di Barni. A fine anno sarà secondo, perdendo il trofeo per soli tre punti in favore di Davide Giugliano.
La gavetta di Danilo è incredibile, tanto incredibile da far sì che proprio nel 2011 viene scelto come collaudatore da Ducati per sviluppare la Panigale. L’occasione è così grande che Petrucci decide di pagarsi la benzina da sé pur di fare i test. L’amore per le due ruote è più grande di qualsiasi cosa e la possibilità di allenarsi guardando Valentino Rossi è una cosa che nemmeno nei film capita: è il trampolino di lancio. Ma la svolta nel 2011 è la stabilità economica: a partire da quella stagione, infatti, Danilo entra a far parte del Gruppo Sportivo Fiamme Oro della Polizia di Stato.
Nel 2012 con il team IodaRacing di Sacchi c’è l’inatteso debutto in MotoGP. Nonostante l’ottimo lavoro di Giampiero Sacchi & Co., tuttavia, la moto è una poco prestante CRT ed i risultati lo dimostrano impietosamente. Parliamo di un telaio prototipale abbracciato ad un motore sostanzialmente Stock, con controlli elettronici basilari. Nonostante grosse difficoltà nel gestire l’usura della Bridgestone al posteriore, Danilo nel 2013 si mantiene costantemente in zona punti. Seppur l’affiatamento con i prototipi vada alla grande, Ducati decide di mettere Danilo da parte, preferendogli un altro membro delle Fiamme Oro per lo sviluppo tanto della Panigale quanto delle Desmosedici: Michele Pirro, portato alla ribalta da Ten Kate in Supersport e messo in luce da Gresini fra Moto2 e MotoGP-CRT.
Nel 2014, con il nuovo regolamento Open, Danilo arriva però a poter stringere i manubri di una ART dell’Aprilia, sempre gestita dal team Ioda. Per l’Aprilia è una necessità, col fine di tornare l’anno successivo in forma ufficiale, per Danilo è invece un’opportunità per Danilo, che perso il legame con la Casa di Borgo Panigale può stringerne uno ancor più stretto con la Casa di Noale. La stagione, tuttavia, è negativa a causa di una forma fisica resa sempre precaria da un infortunio a Jerez che lo costringe a saltare 4 gare.
Sembra iniziata la parabola discendente della meteora, senonché spunta un tale Campinoti, toscano sagace, che in Danilo vede un diamante da sgrezzare. Per il 2015 Pramac perde Iannone – passato al team ufficiale – e Campinoti decide di sostituire il #29 con Danilo. Dopo una prima stagione positiva in sella ad una oltremodo obsoleta GP14 (ultima Desmosedici non progettata da Dall’Igna) con tanto di podio a Silverstone sul bagnato, arriva un anno tremendo. Nel 2016 Petrux perde infatti metà stagione per via di un incidente occorsogli durante le prove di Losail, che lo costringe a saltare dei GP ed a disputarne senza allenamento altri. Il #9, nonostante ciò, riesce comunque a guadagnarsi una GP17 ufficiale per il 2017 a discapito di Redding, sempre nelle vesti di pilota del team Pramac. Ducati torna a puntare su Danilo, che diventa pilota di sviluppo in gara della Desmosedici per volere dello stesso Dall’Igna, e proprio in quel 2017 fioccano i podi, con quello bagnato di lacrime al Mugello che si fissa nella memoria collettiva. Il 2018 altro non è se non un anno di conferme, al termine del quale Danilo trova posto sulla sella di un’altra Ducati: quella ufficiale.
L’epilogo di questa avventura? Non c’è, non ancora. Esiste un punto di arrivo però: 2 giugno 2019. Sì, la domenica appena trascorsa ci ha regalato un Danilo diverso, differente. Sempre lì, davanti per quasi tutto il GP, già velocissimo nelle libere. Una luce differente lo pervade, come se da quel podio nel 2017 fosse passata una vita. Giro dopo giro, passaggio dopo passaggio, fino al capolavoro finale alla San Donato. Tagliato il traguardo non ci crede nemmeno lui, piange, un pianto liberatorio. I sogni di un bambino si sono realizzati. Le critiche, la presunta inadeguatezza come pilota ufficiale – sollevata da alcuni – il contratto della vita con un’unica chance, vanno giù in quel pianto di gioia. Danilo è uno diverso: genuino, puro – come poche volte si vede nel paddock – modesto, sa bene quale sia il suo percorso, e cos’è la prima cosa che fa? Dedicare la vittoria al suo compagno di squadra e chiedergli scusa per quel sorpasso, tentato come se prima di essere amico fosse solo pilota. Un affronto che i puri di cuore non possono superare: si sentono un po’ in colpa, magari non felice al 100%. E’ vero, il fatto che il proprio compagno di squadra sia il primo avversario è un mantra che varrà sempre, ma può esserci spazio anche per l’eccezione.
L’eccezione si chiama Danilo, un ragazzone di Terni arrivato dalla Working Class Hero fino al pantheon del motociclismo. Senza mai perdere la sua purezza e trovando un amico di nome Andrea. Uno che lotta per il Mondiale da ormai un paio di anni a questa parte che ancora ti carica la moto dopo gli allenamenti, ti accoglie a casa sua, ti consiglia e ti aiuta a migliorare come solo un amico sa fare. Come una favola, come un rapporto vecchio stile, che ci fa ripiombare ad un tempo andato, fatto di uomini e cavalieri. Alcuni dei quali, come geografia, tradizione e cuore impongono loro, sono e resteranno per sempre d’acciaio.