Circuito di Losail, anno del Signore 2008. Sessione di test pre-stagionali della MotoGP. Per la prima volta nella storia del Motomondiale, i potenti riflettori installati a bordo pista rischiarano a giorno la fredda notte del Qatar. È una grande novità, per la classe regina delle due ruote: in pochi – e per poche curve – avevano avuto un assaggio di quelle particolari condizioni al termine della stagione 2007. Per la maggior parte dei piloti in griglia, il buio di Losail rappresenta ancora un’incognita.
Nei box Ducati, seduto a pochi metri di distanza dalla sua fiammante Desmosedici, Casey Stoner osserva con ostentata indifferenza l’orologio. Mancano cinque minuti all’inizio della sessione. Poi quattro. Poi tre. Poi due. Poi uno. Semaforo verde. I motori di tutte le moto presenti quel giorno a Losail iniziano a latrare al cielo, con la Pit Lane che si anima improvvisamente. C’è curiosità, c’è fretta di capire come, quanto e se sarà cambiata la percezione della pista con l’arrivo della luce artificiale. È in quelle condizioni che si terrà il GP d’apertura della stagione 2008, e nessuno vuole presentarsi impreparato ai blocchi di partenza di quello che è un sostanziale biglietto da visita per l’annata appena iniziata.
Tutti i piloti scendono in pista. Tutti, tranne Casey Stoner. Che, nel silenzio parzialmente stupito del box Ducati, resta seduto nel garage. I minuti scorrono veloci, ed è solo dopo mezz’ora dall’inizio della sessione che il #27 decide che è arrivato il momento di salire in sella. Si cala il casco in testa, abbassa la visiera entrando in quel mondo che era solo suo, ingrana la prima e lascia che il poderoso motore di Borgo Panigale ruggisca al cielo la propria rabbia. I tempi sul giro, nel frattempo, sono molto più alti di quelli visti nel corso dell’edizione 2007 del Gran Premio: l’illuminazione artificiale, effettivamente, per il momento sta avendo la meglio sul talento dei migliori piloti di moto del mondo.
Ce n’è uno, tuttavia, che non sembra risentire in alcun modo di queste nuove e sconosciute condizioni. Quell’uno è australiano, cavalca come un demonio un diavolo rosso, e ha bisogno di pochissimi giri per prendersi la vetta della classifica a modo suo: rifilando cioè 3” di distacco al primo degli inseguitori.
“Casey amava particolarmente Losail” – dice Livio Suppo, presente quel giorno a Losail – “Quando ha esordito nel 2006, con il team di Cecchinello, a causa di problemi con i voli arrivò solo 10’ prima delle prove e il sabato fece la pole: diciamo che si trovava bene. Ricordo che non appena iniziarono questi test in notturna tutti i piloti scesero in pista: lui decise di aspettare, era seduto sulla sedia e mi guardava come a voler dire ‘Io ci sono, non appena voglio vado’”. “Dopo circa mezz’ora in cui gli altri avevano girato in continuazione lui è sceso in pista” – prosegue Suppo – “Ed è rientrato dopo pochissimi giri dopo aver rifilato 3” (ma forse erano addirittura 5”) al secondo in classifica. Io mi ricorderò per sempre lo sguardo che mi ha lanciato una volta sceso dalla moto, rientrando in garage: l’ho incrociato per un attimo e ho visto – pur senza vederlo davvero – un sorriso enorme, era contentissimo. Non riuscivo a capire come avesse fatto, quindi sono andato lì a chiedergli quale fosse il trucco: ‘Casey, ma come hai fatto? Si vede, non si vede?’. ‘Sì, si vede ma sembra che sia bagnato, le luci e i riflessi ti portano a credere che ci sia acqua in pista. Io però so che è asciutto, conosco la pista, quindi perché dovrei iniziare ad andare forte poco alla volta? Io so cosa si può fare sull’asciutto, so che è asciutto, vado come sull’asciutto!’. Tutti gli altri impiegarono più di un’ora ad avvicinarsi ai suoi tempi: evidentemente i segnali che dava una pista che per la prima volta vedevi con i riflessi invitavano alla calma una persona dotata di un senso di sopravvivenza superiore a quella di Casey. Lui aveva fatto invece un altro ragionamento: è una pista asciutta, è una pista che conosco, gli do del gas come se fosse giorno, punto”. “Aveva aspettato in garage per mezz’ora di proposito: voleva che gli altri potessero credere di andare forte, prima di dar loro una sonora bastonata. È un qualcosa che solitamente i piloti davvero veloci fanno, perché quando riesci a fare delle cose simili mini la fiducia in se stessi di tutti gli altri”., conclude infine l’ex Team Principal di Ducati e Honda.