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Dune e altitudini insidiose su un percorso “più tecnico e più pericoloso”: Alessandro Ruoso ci racconta la sua Dakar





Vi stiamo raccontando decisamente molto, dell’edizione 2018 della Dakar. Tra classifiche, querelle “giudiziarie” e highlights stiamo cercando di portare sui vostri telefonini e nei vostri PC quanta più sabbia possibile, nel tentativo di farvi capire che cosa si provi davvero ad essere inghiottiti nel temibile fesh-fesh. E quindi, per tentare di farvi vivere ancor più dall’interno questa Dakar, abbiamo raggiunto con i nostri potenti mezzi tecnici – si legga “WhatsApp” – Alessandro Ruoso il pilota di Pordenone che in sella alla sua KTM occupa attualmente la 32^ posizione in classifica generale. E che, ovviamente, è stato gentilissimo nel rispondere ad alcune nostre domande.

© Eric Vargiolu / DPPI
© Eric Vargiolu / DPPI

FUORI TRAIETTORIA: Ciao Alessandro, grazie mille per averci concesso questa intervista! Partiamo con una tua considerazione personale: in tanti l’hanno definita la Dakar più dura da quando si è sbarcati in Sud America. Rispetto alle tue precedenti esperienze, anche considerando altri Rally Raid, come hai trovato il percorso dell’edizione 2018?

ALESSANDRO RUOSO: “Ciao a tutti! Partendo dal presupposto che questa per me è la seconda Dakar, il percorso di quest’anno è molto più duro, molto più tecnico ed anche molto più pericoloso rispetto a quello della scorsa edizione. Nei primi giorni in Perù, quelli con sabbia e dune, era molto tecnico, ma anche quando siamo passati in Bolivia con i passaggi in quota abbiamo sempre trovato un terreno insidioso. In più quest’anno ci sono state tappe molto lunghe e dure, quindi tra le gare che ho corso io è sicuramente la più difficile in assoluto. Anche le tappe di questi ultimi giorni sono veramente complicate: oltre 700 km da percorrere, sabbia e dune con un po’ di vegetazione in alcune sezioni e poi arena, sassi e fango nelle parti in cui si corre nei letti dei fiumi. E’ davvero dura, anche fisicamente”.

FT: Sei d’accordo con la stesura del percorso? Oppure avresti preferito affrontare tappe meno selettive nel corso della prima settimana di gara?

AR: “Diciamo che un percorso impostato in questo modo è per professionisti. Quindi, tolti i primi 30/35 piloti che lo fanno per mestiere, per tutti gli altri è molto dura. Già per piloti come me, che non svolgono questa attività come professione ma che comunque sono allenati sia fisicamente che tecnicamente, è parecchio tosta. Di conseguenza per quei piloti oltre la soglia dei Gentleman Driver è davvero molto molto dura, forse addirittura troppo nella prima settimana. Anche perché con un percorso simile rischi di ritrovarti con il 50% dei piloti fuori gara nell’arco dei primi tre giorni…”

FT: Qual è l’insidia più grande quando si corre sulla sabbia? E invece il pericolo che si corre più spesso quando si affrontano superici sabbiose?

AR: “Mah, la sabbia come superficie non è insidiosa di per sé, il problema qui con le dune è che non sai mai cosa ti aspetta dopo. In Perù ad esempio le dune erano ‘tagliate’, non avevano un andamento naturale come quelle che si possono invece trovare in Africa: lì infatti sono un po’ come le onde, tutte con una certa andatura e con un certo ritmo. Qui invece ci sono tagli di 10 o 20 metri, e se non li vedi in tempo rischi di finirci dentro e di farti male come è successo a tanti altri piloti in questi giorni. Per il resto posso dirti che la situazione più pericolosa si ha quando la sabbia ed il fesh-fesh nascondono alla vista delle pietre, perché tu in quei momenti stai viaggiando su una determinata superficie e non ti aspetti quindi una smanubriata o che la moto scalci, che è invece esattamente la cosa che ti succede. Diciamo che questa è forse la causa del maggior numero di cadute quando si viaggia fuoripista o negli alvei dei fiumi”. 

FT: Il tuo stile di guida cambia tra sabbia e fango? Se sì, in cosa?

AR: “Sì, il mio stile di guida cambia molto tra sabbia, fango e – soprattutto – superfici dure. Si interviene ovviamente anche sul settaggio della moto, e in questa Dakar per noi questo è stato un bel problema perché avendo avuto la moto solamente in Sud America è come se stessimo testando di giorno in giorno i vari set up. Sulla sabbia la moto va tenuta in un certo modo, con l’anteriore piuttosto alto, la sospensione dura ed un ritorno frenato, mentre sulle superfici dure si corre esattamente al contrario. Io mi trovo bene sia sul duro che sul morbido, quest’anno sto facendo un po’ più fatica del solito perché non ho un gran feeling con questa moto”. 

© Florent Gooden / DPPI
© Florent Gooden / DPPI

FT: Quanto è difficile affrontare una gara con la rarefazione dell’aria dovuta all’altitudine? Ti sei preparato in maniera specifica per le tappe andine?

AR: “In teoria ci si può preparare per le affrontare le tappe in altitudine, ma per fare una cosa fatta bene ci vuole molto tempo. Tempo che, almeno nel mio caso, non c’è stato. Pensa che bisognerebbe sostare per 15 giorni ad un altezza di 2500 metri, per poi salire di altri 700 metri ogni settimana. In più, per fare un lavoro davvero corretto, bisognerebbe allenarsi con del lavoro aerobico in altitudine. Se tanti altri piloti sono riusciti a prepararsi io purtroppo quest’anno non ho avuto una simile possibilità, e quindi diciamo che non soffro molto solamente fino ai 3800 metri di altitudine. Però una volta passati i 4000 o i 4500 inizio ad avere giramenti di testa, nausea, si inizia a perdere la lucidità…diciamo quindi che le 4 tappe in quota sono state particolarmente sofferte”. 

FT: Qual è la tappa di quest’edizione che non vorresti mai dover rifare? E perché?

AR: “Mah, sinceramente ti dico che non c’è nessuna tappa che non vorrei rifare. Alla fine, quando riesci a chiudere una tappa, per quanto dura e difficile possa essere stata sei sempre felice e soddisfatto della tua prestazione. Vuol dire che sei andato bene quando sei riuscito a chiuderle, e visto com’è andata la prima settimana quindi ti dico che probabilmente le rifarei tutte”. 

FT: Grazie mille di nuovo Alessandro, sei stato davvero gentilissimo. Sotto con le ultime tappe ora!

AR: “Figuratevi, è stato un piacere! E un saluto a tutti gli amici di Andare a pesca con un’Audi R18 e FuoriTraiettoria!”





Tags : alessandro ruosoDakardakar 2018intervista alessandro ruosorally dakar 2018
Stefano Nicoli

The author Stefano Nicoli

Giornalista pubblicista, innamorato dal 1993 di tutto quello che è veloce e che fa rumore. Admin e fondatore di "Andare a pesca con una LMP1", sono EXT Channel Coordinator e Motorsport Chief Editor di Red Bull Italia, voce nel podcast "Terruzzi racconta", EXT Social Media Manager dell'Autodromo Nazionale Monza e Digital Manager di VT8 Agency. Sono accreditato FIA per F1, WRC, WEC e Formula E e ho collaborato con team e piloti del Porsche Carrera Cup Italia e del Lamborghini SuperTrofeo, con Honda HRC e con il Sahara Force India F1 Team. Ho fondato Fuori Traiettoria mentre ero impegnato a laurearmi in giurisprudenza e su Instagram sono @natalishow