In pochi sanno che Tazio Nuvolari, uno dei più abili piloti nella storia dell’automobilismo, conseguì notevoli risultati anche su due ruote. Il Mantovano Volante conseguì 49 successi motociclistici a livello internazionale dal 1922 al 1930, di cui 15 assoluti e 34 a livello di classe di cilindrata.
Numeri che pesano molto di più se consideriamo che dal 1925 corse unicamente con la Freccia Celeste della Bianchi, essendo divenuto pilota ufficiale della casa Bergamasca, nella sola classe 350 e nonostante questo primeggiò a livello assoluto in 8 occasioni contro moto di 500 e 1000 cc. Nel lustro precedente Nuvolari si era alternato nella classe 1000 in sella sia alle Harley Davidson che alle Indian, nella classe 500 con la Norton M18 e nella classe 350 con la Gilera Supersport. La carriera motociclistica di Nuvolari terminò all’inizio degli anni ’30, quando venne assunto come pilota dall’Alfa Romeo, per affiancare Varzi e Campari in sostituzione del prematuramente scomparso Brilli-Peri.
Un momento iconico nella carriera di Nuvolari è il giro senza volante, nel corso della Coppa Brezzi a Torino. Erano i primi giorni di settembre del 1946 e Nuvolari dopo il primo giro era già in testa con notevole vantaggio, al secondo transitò sul rettilineo del traguardo agitando il volante della debuttante Cisitalia D46, che gli era rimasto tra le mani. Il Mantovano Volante proseguì per un’altro giro prima di rientrare ai box per sostituire il volante, alla fine Nuvolari concluse la gara in 13/a posizione tagliando il traguardo senza cofano anteriore, dopo essersi fermato ai box altre due volte per guasti di gioventù patiti dalla propria vettura. Eppure il giro senza volante fece entrare Nuvolari nell’immaginario collettivo – erroneamente – come colui in grado di vincere senza volante. Impresa nella quale è invece riuscito Giancarlo Falappa, anche se solo parzialmente, nel 1989 in sella ad una Bimota ufficiale.
Per affiancare Falappa nella tappa francese del World Superbike, giunto alla seconda edizione, la Bimota richiamò il veloce Mike Baldwin, all’epoca 34enne e già in sella alla terza Bimota ufficiale nei due round stagionali disputati nel natio nord-america, a Mosport in Canada ed a Brainerd nel Minnesota, USA. Californiano di Pasadena ma cresciuto a Darien in Connecticut, Baldwin veniva dal campionato Americano dove vinse cinque titoli nazionali tra il 1978 ed il 1985 nella categoria F1, dedicata ai prototipi a 4 tempi vagamente somiglianti alle moto di produzione. A questo palmares di tutto rispetto si aggiungono tre vittorie alla 8 Ore di Suzuka: nell’edizione inaugurale del 1978 in coppia con Wes Cooley su Suzuki, nel 1981 con David Aldana su Honda e nel 1984 con Fred Merkel, sempre su Honda.
Nel frattempo Mike aveva iniziato a mettere piede nel Motomondiale, con qualche sporadica Wild Card a partire dal 1979 fino a quando, nel 1985, si iscrisse nella Classe 500 con una Honda privata, a trent’anni. In quella prima stagione l’impiego nei GP fu part time, saltando alcuni appuntamenti o parte di essi per vincere l’ultimo titolo AMA F1, ma si guadagnò l’attenzione di Kenny Roberts. L’ex marziano gli garantì una Yamaha 500 ufficiale per il 1986, in quella che sarà la prima stagione per il Team KR in classe 500. L’impiego a tempo pieno nel Motomondiale fruttò a Baldwin il quarto posto in classifica, appena dietro al team mate Randy Mamola, con cinque podi in undici GP e nove piazzamenti complessivi in Top5.
Nonostante l’ottimo debutto, i sogni a due tempi di Baldwin si infransero l’anno seguente ad Hockenheim quando, nel corso della terza gara stagionale, una grave caduta ad alta velocità gli frantumò polso e caviglia. Tornò in sella per le ultime gare stagionali in Brasile ed Argentina, terminate con risultati molto positivi, ma il ruolo da ufficiale ormai era perso a vantaggio di Wayne Rainey. Nel 1988 corse part time – sei GP su quindici – nuovamente in sella ad una vecchia Honda privata che aveva acquistato di tasca propria, con la quale attirò la curiosità di Bimota. Un curriculum di tutto rispetto quello dell’americano, adatto anche a far crescere Falappa, veloce ed affamato ma poco costante. O per lo meno questo speravano in quel di Rimini. Si sbagliavano.
All’epoca Falappa era un fac totum in Bimota. Giancarlo era stato assunto dalla casa riminese nel 1987 principalmente come operaio in fabbrica, ma aveva anche il compito di fare l‘autista per il trasporto delle moto nelle piste oltre ad essere il collaudatore del prodotto di serie. In seguito il marchigiano iniziò a battere l’asfalto delle piste nell’agosto del 1987, e dopo un paio di pistate a Misano si iscrisse alla gara di Vallelunga, ultima del CIV ’87, che vinse da debuttante. Il talento naturale di Falappa convinse Bimota a schierarlo prima al CIV nel 1988, concluso in maniera trionfale nella classe Sport Production a 4T, e poi al neonato World Superbike l’anno seguente. A caratterizzare Falappa era una fame agonistica da fare invidia a chiunque ancora oggi, cosa che lo portava ad alternare fragorosi successi a rovinose cadute.
Tornando ai fatti del 1989, dopo due round di adattamento alla YB4 ed uno di sosta, Baldwin voleva vincere in Francia sul veloce Paul Ricard. In Gara-1 la vittoria sfumò per otto decimi, a vantaggio di Mertens sulla Honda del team Mediares, mentre Gara-2 divenne un duello fratricida all’ultimo sangue fra Baldwin e Falappa che ingaggiarono un duello da cuore in gola per la prima posizione. Il marchigiano ed il californiano non perdevano occasione per infilarsi e scarenarsi ad ogni curva. Eppure l’apice del conflitto tra i due non venne raggiunto tra le curve, ma sull’infinito rettilineo del Mistral. Lanciati ad oltre 280 km/h i due si scontrarono più volte nel corso degli ultimi giri finché, al terzultimo, non si scambiarono il colpo definitivo. A Baldwin si rupe lo scarico, a Falappa il semi-manubrio sinistro.
“Nella staccata successiva sento che il braccio sinistro mi va avanti, butto l’occhio e vedo il semi-manubrio rotto: gli ultimi due giri li percorro con la mano sinistra sulla piastra della forcella, riprendendo la frizione in mano per le staccate.”
Giancarlo Falappa
Il botto fu tremendo, Baldwin finì nella via di fuga mentre Falappa rimase lungo il nastro d’asfalto che porta verso la curva Signes ed entrambi, fortunatamente, riuscirono a rimanere in piedi mantenendo il pieno controllo delle proprie Bimota YB4. Complice anche lo scarico rotto, Baldwin percorse a gambero quegli ultimi due giri chiudendo in quinta posizione con oltre 15″ di ritardo proprio da Falappa. Pur senza un semi-manubrio, il leone di Jesi travestendosi da novello Nuvolari riuscì a mantenere la testa della corsa, a differenza del Tazio Nazionale, tagliando per primo il traguardo con 33 centesimi di vantaggio su Raymond Roche in sella alla Ducati ufficiale del Team Lucchinelli.
Quella Ducati ufficiale e quel Lucchinelli che Falappa di lì a qualche mese si conquistò in maniera quasi rocambolesca, in un Autogrill. La fama di Falappa iniziò a crescere così, grazie anche ad episodi come la vittoria in Francia nel 1989.
“Vinsi comunque. Tornato ai box, i miei meccanici Bruno Leoni e Massimo Braconi mi cambiarono al volo il semi-manubrio in titanio prima di entrare in parco chiuso, per non farlo vedere alla direzione. Pensa, dopo il rischio di aver corso con il manubrio rotto ti squalificano anche!“
Giancarlo Falappa